Giovedì
7 marzo alle 17.30, al Circolo della Stampa, il professor Antonio
Trampus,
ordinario di Storia moderna all’Università di Venezia, professore
invitato alle università di Zaragoza, Vienna, Rotterdam, Meknès ed
Helsinki, tra
i grandi esperti europei sulla storia del XVIII secolo, terrà una
conferenza dal titolo “1719,
nuovi destini, nuovi triestini (e nuove triestine)”,
organizzato a cura dello stesso Circolo, della Società triestina di
cultura “Maria Theresia” e del Club Touristi Triestini.
Nell’occasione
Trampus presenterà, in anteprima assoluta alcuni schizzi dell’epoca
tratti da due preziose raccolte, gli “Album amicorum”, o “Album
Auersperg”
(all’epoca governatore di Trieste), che la
Fondazione Kathleen
Foreman Casali
grazie anche all'interessamento della Società “Maria Theresia”,
ha acquisito per donarli alla città.
L’incontro,
nell’attesa che vengano rese note le iniziative assunte dalla mano
pubblica, apre le celebrazioni per i 300 anni del Porto Franco,
volano della crescita cittadina, poi trasformatosi in mito, e oggi,
sperabilmente possibile strumento per una ripartenza imprenditoriale
ed economica.
E’
appunto nel 1719 che inizia la storia di Trieste quale città -
quella precedente riguarda un modesto borgo costiero – nel segno
della pace (Passarowitz/Požarevac,
che chiude la lunga contesa con i Turchi), della libertà (la
navigazione nell’Adriatico non più soggetta alla signoria di San
Marco), e di un’immigrazione rapida e composita dai quattro punti
cardinali. Genti nuove, accomunate dalla voglia di azione e
affermazione (“amare e lavorare”, come ricorda l’anelito
slataperiano posteriore di due secoli).
Mutano
la funzione, l’articolazione e la stratificazione sociale della
città, e, con esse, i suo tratti
urbanistici e architettonici, cambia la lingua, che vede il
tergestino retroromanzo soppiantato dal veneziano, lingua franca del
mare, indurito nell’accento e arricchito da termini mutuati da
altri idiomi
Ma
forse la trasformazione maggiore riguarda l’antropologia: inizia a
determinarsi la “triestinità”, qualità
indefinibile, mutevole, contraddittoria.
Eppure
riconoscibile. E, indubitabilmente, tutta
femminile.
Perché
con gli uomini impegnati a “bater le onde” o a commerciare
nell’interno dell’impero, le donne, volenti o nolenti, furono
chiamate a emanciparsi. La loro autonomia, e la pari dignità, si
svilupparono attraverso il lavoro: come mlekerze, lavandere,
sessolote, sartorele, tabacchine, ma anche, più in là, come
capitane d’industria (emblematico il caso Veneziani).
Si
può dire che, quasi paradossalmente, è dalle provvidenze asburgiche
che inizia la leggenda delle “ragazze di Trieste” libere, aperte,
disinvolte e pragmatiche, fissata
da robusti stereotipi quali l’Angiolina sveviana, Edda Marty, le
“mule” del Yupi
yupi ala.
Lassù,
a Nord (o a Sud, o a Est o Ovest, secondo altre prospettive) vive un
tipo di femmina vagheggiata quale soggiogante espressione di fascino
insieme mediterraneo, nordico e slavo, indipendente e disinvolta più
che matriarca. Una donna soggetto, pronta nel dire quanto nel fare,
usa a scegliere, non a essere scelta.
Di
qui il titolo della conferenza, che, oltre a ricordare i 300 anni del
Porto Franco, intende rendere omaggio all’“altra metà del
cielo”, in occasione della sua festa.
Nell'occasione
verrà presentato il francobollo commemorativo che il Club Touristi
Triestini ha fatto realizzare alla Poste Austriache, su grafica del
maestro Luca Wieser.