martedì 5 marzo 2019

1719, nuovi destini, nuovi triestini (e nuove triestine)


 

Giovedì 7 marzo alle 17.30, al Circolo della Stampa, il professor Antonio Trampus, ordinario di Storia moderna all’Università di Venezia, professore invitato alle università di Zaragoza, Vienna, Rotterdam, Meknès ed Helsinki, tra i grandi esperti europei sulla storia del XVIII secolo, terrà una conferenza dal titolo “1719, nuovi destini, nuovi triestini (e nuove triestine)”, organizzato a cura dello stesso Circolo, della Società triestina di cultura “Maria Theresia” e del Club Touristi Triestini.


Nell’occasione Trampus presenterà, in anteprima assoluta alcuni schizzi dell’epoca tratti da due preziose raccolte, gli “Album amicorum”, o “Album Auersperg” (all’epoca governatore di Trieste), che la Fondazione Kathleen Foreman Casali grazie anche all'interessamento della Società “Maria Theresia”, ha acquisito per donarli alla città.


L’incontro, nell’attesa che vengano rese note le iniziative assunte dalla mano pubblica, apre le celebrazioni per i 300 anni del Porto Franco, volano della crescita cittadina, poi trasformatosi in mito, e oggi, sperabilmente possibile strumento per una ripartenza imprenditoriale ed economica. 


E’ appunto nel 1719 che inizia la storia di Trieste quale città - quella precedente riguarda un modesto borgo costiero – nel segno della pace (Passarowitz/Požarevac, che chiude la lunga contesa con i Turchi), della libertà (la navigazione nell’Adriatico non più soggetta alla signoria di San Marco), e di un’immigrazione rapida e composita dai quattro punti cardinali. Genti nuove, accomunate dalla voglia di azione e affermazione (“amare e lavorare”, come ricorda l’anelito slataperiano posteriore di due secoli).

Mutano la funzione, l’articolazione e la stratificazione sociale della città, e, con esse, i suo tratti urbanistici e architettonici, cambia la lingua, che vede il tergestino retroromanzo soppiantato dal veneziano, lingua franca del mare, indurito nell’accento e arricchito da termini mutuati da altri idiomi
Ma forse la trasformazione maggiore riguarda l’antropologia: inizia a determinarsi la “triestinità”, qualità indefinibile, mutevole, contraddittoria.
Eppure riconoscibile. E, indubitabilmente, tutta femminile.
Perché con gli uomini impegnati a “bater le onde” o a commerciare nell’interno dell’impero, le donne, volenti o nolenti, furono chiamate a emanciparsi. La loro autonomia, e la pari dignità, si svilupparono attraverso il lavoro: come mlekerze, lavandere, sessolote, sartorele, tabacchine, ma anche, più in là, come capitane d’industria (emblematico il caso Veneziani).
Si può dire che, quasi paradossalmente, è dalle provvidenze asburgiche che inizia la leggenda delle “ragazze di Trieste” libere, aperte, disinvolte e pragmatiche, fissata da robusti stereotipi quali l’Angiolina sveviana, Edda Marty, le “mule” del Yupi yupi ala.
Lassù, a Nord (o a Sud, o a Est o Ovest, secondo altre prospettive) vive un tipo di femmina vagheggiata quale soggiogante espressione di fascino insieme mediterraneo, nordico e slavo, indipendente e disinvolta più che matriarca. Una donna soggetto, pronta nel dire quanto nel fare, usa a scegliere, non a essere scelta.
Di qui il titolo della conferenza, che, oltre a ricordare i 300 anni del Porto Franco, intende rendere omaggio all’“altra metà del cielo”, in occasione della sua festa.


Nell'occasione verrà presentato il francobollo commemorativo che il Club Touristi Triestini ha fatto realizzare alla Poste Austriache, su grafica del maestro Luca Wieser.

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