Si
concluderà, nel 1918, la serie di commemorazioni della Prima Guerra
mondiale. Questi quattro anni sono serviti a riportare alla luce,
almeno in parte, la verità in merito a quello che accadde allora
qui.
Sapete
che la storia di Trieste e del Litorale è stata oggetto di pesanti
mistificazioni a partire da quel famoso 24 maggio in cui l’esercito
dell’Italia, entrata in guerra contro l’Austria, ufficialmente
“marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una
barriera”.
C’era
non poca gente, non parlo dei triestini, naturalmente, ma molti
italiani sì, che credeva alla tesi della necessità difensiva:
l’Italia è stata attaccata dall’Austria. Magari in buona fede, e
facendo confusione con l’avanzata austriaca dopo Caporetto e anche
con l’occupazione nazista dal ’43 al 45.
Allora,
per un minimo di correttezza, si è dovuto preliminarmente spiegare
chi ha dichiarato guerra a chi, ponendo un punto di partenza per
qualunque riflessione seria e onesta.
Poi
si potrà valutare se la guerra è stata giusta, inevitabile, santa,
o insana, subita e maledetta.
Forse
finalmente qualcuno si è chiarito un po’ le idee e guarda al
1914-18 come a un mostruoso e insensato olocausto: milioni di vittime
umane sacrificate sull’ara di dei maligni: il nazionalismo,
l’ambizione di regnanti e gerarchie militari, gli interessi dei
fabbricanti e dei mercanti d’armi.
Ed
è anche cambiato, almeno in parte, l’atteggiamento verso la tanto
glorificata guerra di redenzione, il nobile lavacro di sangue
necessario a riscattare Trieste e Trento.
Si
è chiarito che c’era una volontà di espansione imperialistica che
non si sarebbe fermata ai luoghi dove circolava la lingua italiana.
Infatti continuerà nei lustri successivi.
Qui
probabilmente lo sappiamo tutti, ma ripetiamolo una volta di più. Il
regno sabaudo entrò in guerra, nel 1915 con il patto di Londra, un
documento segreto, di cui erano a conoscenza soltanto il re, il primo
ministro Salandra e il ministro degli esteri Sonnino.
Sarebbe
dovuto rimanere segreto in eterno, anche perché erano stati tenuti
all’oscuro e messi fuori gioco, il Parlamento e persino il
governo. L’accordo fu conosciuto solo quando scoppiò la
rivoluzione russa e i bolscevichi lo tirarono fuori.
Bene,
con il patto di Londra all’Italia veniva assicurato il controllo
sull’Adriatico orientale, inclusa Valona in Albania, e persino la
zona di Adàlia, in Turchia, dove gli italiani da liberare erano
pochini, ma in compenso c’erano risorse carbonifere. Poi i Savoia
avrebbero ottenuto anche territori africani, dopo la spartizione
delle colonie tedesche.
Far
riemergere queste cose ha gettato una nuova luce sul concetto di
redenzione, di unione di Trieste alla patria, cui pure, qualcuno, non
molti, aveva creduto, in buona fede.
Eppure
Giovanni Giolitti il più grande statista dell’Italia sabauda,
aveva vaticinato, pubblicamente, una cosa:
fuori
dal nesso statuale asburgico, Trieste sarebbe stata rovinata.
Ma
il tentativo di Giolitti di tenere l’Italia fuori dalla guerra, lo
sappiamo, fallì.
E’
stato fatto, dicevo, un positivo lavoro di revisione. Per arrivare
alle tombe dei nostri caduti che hanno combattuto per la patria,
alcuni dei quali ricordiamo oggi, è stato spalato tanto fango.
Ma
attenzione, siamo appena all’inizio.
La
storia insegnataci a scuola - parlo dei miei anni, ma credo che
parecchio si sia poi fissato come vulgata ufficiale – la nostra
storia corrente recitava: nel 1918 Trieste viene accolta
dall’abbraccio italiano, il lungo periodo di dominazione straniera
è finito, e inizia un avvenire migliore.
Anche
in questo caso, è esattamente il contrario. Senza voler fare
dell’antisciovinismo, inizia un periodo peggiore. Che si è
lumeggiato facendo apparire i crimini del fascismo come marachelle.
Certo,
nascondere l’invasione della Slovenia, i paesi bruciati e i
resistenti uccisi, le leggi razziali era un po’ difficile, ma si è
pensato bene di addossarne le responsabilità ai tedeschi, che hanno
traviato gli italiani brava gente. E’ stato rispolverato Collodi
per scrivere la favola del fascista Pinocchio e del nazista
Lucignolo.
Invece
la storia vera è altra, e ha arrecato danni spaventosi a queste
terre. Certo, hanno giocato un ruolo pesante lo scontro tra Oriente e
Occidente sul confine di Trieste, e anche la rottura del ’48 tra
Mosca e Belgrado, che qui si è scaricata con particolare virulenza.
E ci sono state, inevitabilmente, corresponsabilità anche triestine.
Con
il 2000 siamo usciti dalla palude tossica in cui eravamo sprofondati,
e ci stiamo riaprendo al nostro mondo, che è un mondo europeo.
Questo processo di riemersione da qualche ambito è avversato, forse
perché tutto ciò che è europeo lede l’esclusività italiana di
Trieste.
Noi
possiamo - dobbiamo – proseguire in un discorso di revisione
pacata, che permetta di capire come gli errori e gli orrori del
secolo scorso abbiano nuociuto a tutti. Italiani e slavi, e
austriaci, colori politici neri, rossi, bianchi.
Al
netto delle responsabilità, che ovviamente non sono ininfluenti, la
nostra partita doppia è in perdita rovinosa.
Occorre
allora che rivisitiamo la nostra storia patria, così segnata dagli
interessi delle potenze e delle ideologie, cercando di purificare la
memoria. Di smaltire quell’odio che è stato seminato e coltivato.
Perché si è cercato di acutizzare i dolori, si è gettato sale
nelle ferite, per infettarle, a fini politici e nazionali.
Dobbiamo
uscirne, ricordando il passato per evitare di ripeterne gli errori,
ma cercando di ripartire da ciò che siamo stati, in una nuova
prospettiva europea.
Con
nostalgia del futuro, e fiducia nelle parole di Slataper, fratelli,
noi vogliamo amare e lavorare.
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