lunedì 16 maggio 2022

Luciano Santin in occasione del 305° genetliaco di Maria Teresa d'Austria

 Dopo il turbine del Covid, ci ritroviamo per ricordare ancora una volta Maria Teresa d'Austria, patrona laica e artefice prima della grande crescita di Trieste. Ci ritroviamo, nel giorno del suo genetliaco, qui, alla testata di questo stupendo canale, il segno più forte e significativo da lei lasciato nel tessuto urbano.

Il segno c'è, il nome no, diversamente da altri centri europei, ma anche italiani. Milano, tanto per citarne uno. A Cervignano, come qualcuno penso sappia, domani, verrà dedicato al nome di Maria Teresa il monumento ai caduti austrofriulani.

Il canale, questa grande infrastruttura settecentesca, si sarebbe voluto - e dovuto - intitolare “Canal Grande Maria Theresia”. Nel 2017, 300° anniversario della nascita della Kaiserin, avevano fatto un appello in tal senso 27 circoli culturali triestini, inclusivi delle varie nazionalità che compongono la città: sloveni, in primis, naturalmente, croati, ebrei, ma anche armeni, serbi, greci, e associazioni che guardano all'Austria e all'Ungheria, lo storico retroterra della città.

L'83% dei partecipanti a un sondaggio on line lanciato dal Piccolo e cui avevano partecipato oltre 4000 persone, si era dichiarato favorevole. Il costo dell'operazione, più che tenue, se l'era accollato il Circolo della Stampa, che aveva anzi apposto una targa.

Il Comune aveva proceduto togliendo la targa («Ringraziateci che non procediamo per abuso edilizio») e rigettando la richiesta di intitolazione “per ragioni politiche”, come dichiarato dal sindaco.

Il quale poi, un po' contraddittoriamente, aveva promesso altri interventi, tra cui la statua in piazza Ponterosso, voluta anche dalla Regione. La aspettiamo, da cinque anni.

Per Gabriele D'Annunzio ci sono volute cinque settimane, o anche meno. Grazie a un'azione veramente solerte, tempestiva ed efficace del Comune, il vate è comparso in piazza della Borsa e vi si è assiso, come a prenderne possesso. Non si è ritenuto opportuno, nella circostanza, chiedere il parere della popolazione, anzi, di fatto neanche di informarla.

Del resto abbiamo in questi giorni sotto gli occhi il sovrano disprezzo di palazzo Cheba verso le opinioni dei cittadini. Non è il caso di fare referendum o di attuare altre forme consultive, che pure ci sarebbero, perché non va bene che i triestini rompano l'ovovia nel paniere all'amministrazione.

Lo sappiamo, quando c'è la volontà politica, c'è sempre una via, quando manca, c'è sempre una scusa.

No se pol. E stavolta con un bizzarro ribaltamento che obbliga a fare: non si può dire di no al progetto che impatta violentemente sul tessuto del porto vecchio e poi apre una ferita nel bosco Bovedo al fine di realizzare un'opera che al di là di ogni e qualsiasi altra considerazione non sta economicamente in piedi.

Forse sarà il nostro piccolo ponte sullo Stretto di Messina.

Staremo a vedere, e ad aspettare, come continuiamo ad aspettare il tram de Opcina, per dirne una.

Se vi sono parso polemico, probabilmente è perché lo sono. Ma credo che certe cose vadano ricordate.

Per tenere insieme presente e passato in questa occasione vorrei raccontarvi una storia d'altri tempi, una storia dei tempi di Maria Theresia, e della grande Trieste, allora come oggi e come sempre, in delicato equilibrio tra i mondi.

Perché Trieste è felice in tempo di pace, ma è a rischio nei tempi di guerra che la trovano, in qualche modo, sempre sul fronte. Ce lo ricorda la prima metà dello scorso secolo, con le sue due guerre.

La storia come vedremo si lega anche a questo Canale.

Nel 1765 a Podi, nell'attuale Montenegro nasce Cristoforo Gopčević. E' un piccolo armatore locale, che sceglie di cercare fortuna a Trieste. E la trova.

Il figlio Spiridione, nasce qui, e viene mandato a studiare a Vienna. Si rivela un geniaccio intraprendente, che, raccontano, parla tredici lingue.

Fa crescere la società di armamento paterna, e a metà '800 commissiona a Giovanni Berlam lo splendido palazzo verso lo sbocco del canale, oggi sede del museo Schmidl e di uffici della cultura.

La flotta di Spiridione Gopčević conta 33 velieri e 2 navi a vapore, il 10% del tonnellaggio mercantile registrato a Trieste, ed è seconda solo a quella del Lloyd Austriaco. Commercia prevalentemente in granaglie, con i porti russi del Mar Nero, dove ha base e magazzini, nel porto di Odessa.

A Trieste, dall'Ucraina, arriva il pane per l'Europa.

Poi scoppia la guerra di Crimea.

Odessa, Crimea... credo che negli scorsi giorni abbiate sentito questi nomi.

Inghilterra e Francia si scontrano con la Russia. C'è anche il Regno di Sardegna – l'Italia non esiste ancora. Cavour manda i suoi bersaglieri a morire sul Mar Nero, per potersi sedere al tavolo dei grandi e tessere l'intesa con la Francia che porterà alla II guerra d'indipendenza e alla proclamazione del regno d'Italia. Nel 1861.

L'anno in cui muore Spiridione Gopčević. Aveva contratto debiti bancari a Vienna, ma il frumento dei suoi magazzini a Odessa, bloccata dalla guerra, era marcito; così il magnate triestino, non sopportando il fallimento, sceglie di suicidarsi.

Odessa, così lontana da Trieste, e pure così vicina.

Viene da pensare, no...?

Magari se avesse commerciato in armi invece che in pane Gopčević non avrebbe avuto motivo di suicidarsi.

La nostra città è un punto di incontro. E se non lo è, diventa, inesorabilmente, punto di scontro. E' più esposta di altri centri, quando la pace viene meno. Però la guerra porta sofferenze dovunque.

Maria Teresa lo sapeva bene. E' stata costretta ad affrontarne, perché tutti o quasi i regnanti dell'epoca ritenevano di avere diritto alla sua corona, semplicemente perché maschi.

Carlo VI, suo padre, rompendo la tradizione salica, vecchia di mille anni, aveva consento la successione anche per via femminile, con una legge rivoluzionaria, la Prammatica sanzione. Che però moltissimi non vollero riconoscere.

Sicché Maria Teresa dovette difendersi, altrimenti le avrebbero portato via terre e trono. Ma aborriva la guerra.

Era, del resto, in linea con una tradizione dinastica, quella degli Asburgo, tutt'altro che guerrafondaia. Sapete che aveva sapientemente creato una rete matrimoniale per stabilizzare l'Europa: “Alii bella gerant, tu, felix Austria, nube”. Gli altri facciano guerre tu, Austria felice, celebra nozze. Poi si sa che il destino può far fallire i migliori propositi: Maria Antonietta sposò Luigi XVI di Francia nel momento meno opportuno, alla vigilia della rivoluzione.

Ci sono delle allegorie che ritraggono Maria Teresa come Friedenkaiserin , imperatrice della pace.“Ogni conflitto comporta sempre il saccheggio dei nostri paesi e delle nostre borse”, diceva. E aveva ammonito il figlio Giuseppe II, con una frase che tornerebbe buona anche oggi. “Non dimenticarlo mai, meglio una pace mediocre che una guerra gloriosa”.

Quella di Maria Teresa, insomma, è una lezione che dovremmo tenere a mente. E meditare.

Ma, si sa, se la storia è maestra di vita, i suoi scolari sono dei somari disattenti.

Luciano Santin, presidente della Società triestina di cultura "Maria Theresia"

martedì 5 marzo 2019

1719, nuovi destini, nuovi triestini (e nuove triestine)


 

Giovedì 7 marzo alle 17.30, al Circolo della Stampa, il professor Antonio Trampus, ordinario di Storia moderna all’Università di Venezia, professore invitato alle università di Zaragoza, Vienna, Rotterdam, Meknès ed Helsinki, tra i grandi esperti europei sulla storia del XVIII secolo, terrà una conferenza dal titolo “1719, nuovi destini, nuovi triestini (e nuove triestine)”, organizzato a cura dello stesso Circolo, della Società triestina di cultura “Maria Theresia” e del Club Touristi Triestini.


Nell’occasione Trampus presenterà, in anteprima assoluta alcuni schizzi dell’epoca tratti da due preziose raccolte, gli “Album amicorum”, o “Album Auersperg” (all’epoca governatore di Trieste), che la Fondazione Kathleen Foreman Casali grazie anche all'interessamento della Società “Maria Theresia”, ha acquisito per donarli alla città.


L’incontro, nell’attesa che vengano rese note le iniziative assunte dalla mano pubblica, apre le celebrazioni per i 300 anni del Porto Franco, volano della crescita cittadina, poi trasformatosi in mito, e oggi, sperabilmente possibile strumento per una ripartenza imprenditoriale ed economica. 


E’ appunto nel 1719 che inizia la storia di Trieste quale città - quella precedente riguarda un modesto borgo costiero – nel segno della pace (Passarowitz/Požarevac, che chiude la lunga contesa con i Turchi), della libertà (la navigazione nell’Adriatico non più soggetta alla signoria di San Marco), e di un’immigrazione rapida e composita dai quattro punti cardinali. Genti nuove, accomunate dalla voglia di azione e affermazione (“amare e lavorare”, come ricorda l’anelito slataperiano posteriore di due secoli).

Mutano la funzione, l’articolazione e la stratificazione sociale della città, e, con esse, i suo tratti urbanistici e architettonici, cambia la lingua, che vede il tergestino retroromanzo soppiantato dal veneziano, lingua franca del mare, indurito nell’accento e arricchito da termini mutuati da altri idiomi
Ma forse la trasformazione maggiore riguarda l’antropologia: inizia a determinarsi la “triestinità”, qualità indefinibile, mutevole, contraddittoria.
Eppure riconoscibile. E, indubitabilmente, tutta femminile.
Perché con gli uomini impegnati a “bater le onde” o a commerciare nell’interno dell’impero, le donne, volenti o nolenti, furono chiamate a emanciparsi. La loro autonomia, e la pari dignità, si svilupparono attraverso il lavoro: come mlekerze, lavandere, sessolote, sartorele, tabacchine, ma anche, più in là, come capitane d’industria (emblematico il caso Veneziani).
Si può dire che, quasi paradossalmente, è dalle provvidenze asburgiche che inizia la leggenda delle “ragazze di Trieste” libere, aperte, disinvolte e pragmatiche, fissata da robusti stereotipi quali l’Angiolina sveviana, Edda Marty, le “mule” del Yupi yupi ala.
Lassù, a Nord (o a Sud, o a Est o Ovest, secondo altre prospettive) vive un tipo di femmina vagheggiata quale soggiogante espressione di fascino insieme mediterraneo, nordico e slavo, indipendente e disinvolta più che matriarca. Una donna soggetto, pronta nel dire quanto nel fare, usa a scegliere, non a essere scelta.
Di qui il titolo della conferenza, che, oltre a ricordare i 300 anni del Porto Franco, intende rendere omaggio all’“altra metà del cielo”, in occasione della sua festa.


Nell'occasione verrà presentato il francobollo commemorativo che il Club Touristi Triestini ha fatto realizzare alla Poste Austriache, su grafica del maestro Luca Wieser.

domenica 10 dicembre 2017

Commemorazione del 100° anniversario dell'affondamento della SMS Wien.

Discorso del Presidente della Società Triestina di Cultura Maria Theresia, dott. Luciano Santin.

Si concluderà, nel 1918, la serie di commemorazioni della Prima Guerra mondiale. Questi quattro anni sono serviti a riportare alla luce, almeno in parte, la verità in merito a quello che accadde allora qui.
Sapete che la storia di Trieste e del Litorale è stata oggetto di pesanti mistificazioni a partire da quel famoso 24 maggio in cui l’esercito dell’Italia, entrata in guerra contro l’Austria, ufficialmente “marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera”.
C’era non poca gente, non parlo dei triestini, naturalmente, ma molti italiani sì, che credeva alla tesi della necessità difensiva: l’Italia è stata attaccata dall’Austria. Magari in buona fede, e facendo confusione con l’avanzata austriaca dopo Caporetto e anche con l’occupazione nazista dal ’43 al 45.
Allora, per un minimo di correttezza, si è dovuto preliminarmente spiegare chi ha dichiarato guerra a chi, ponendo un punto di partenza per qualunque riflessione seria e onesta.
Poi si potrà valutare se la guerra è stata giusta, inevitabile, santa, o insana, subita e maledetta.
Forse finalmente qualcuno si è chiarito un po’ le idee e guarda al 1914-18 come a un mostruoso e insensato olocausto: milioni di vittime umane sacrificate sull’ara di dei maligni: il nazionalismo, l’ambizione di regnanti e gerarchie militari, gli interessi dei fabbricanti e dei mercanti d’armi.
Ed è anche cambiato, almeno in parte, l’atteggiamento verso la tanto glorificata guerra di redenzione, il nobile lavacro di sangue necessario a riscattare Trieste e Trento.
Si è chiarito che c’era una volontà di espansione imperialistica che non si sarebbe fermata ai luoghi dove circolava la lingua italiana. Infatti continuerà nei lustri successivi.

Qui probabilmente lo sappiamo tutti, ma ripetiamolo una volta di più. Il regno sabaudo entrò in guerra, nel 1915 con il patto di Londra, un documento segreto, di cui erano a conoscenza soltanto il re, il primo ministro Salandra e il ministro degli esteri Sonnino.
Sarebbe dovuto rimanere segreto in eterno, anche perché erano stati tenuti all’oscuro e messi fuori gioco, il Parlamento e persino il governo. L’accordo fu conosciuto solo quando scoppiò la rivoluzione russa e i bolscevichi lo tirarono fuori.
Bene, con il patto di Londra all’Italia veniva assicurato il controllo sull’Adriatico orientale, inclusa Valona in Albania, e persino la zona di Adàlia, in Turchia, dove gli italiani da liberare erano pochini, ma in compenso c’erano risorse carbonifere. Poi i Savoia avrebbero ottenuto anche territori africani, dopo la spartizione delle colonie tedesche.
Far riemergere queste cose ha gettato una nuova luce sul concetto di redenzione, di unione di Trieste alla patria, cui pure, qualcuno, non molti, aveva creduto, in buona fede.
Eppure Giovanni Giolitti il più grande statista dell’Italia sabauda, aveva vaticinato, pubblicamente, una cosa: fuori dal nesso statuale asburgico, Trieste sarebbe stata rovinata.
Ma il tentativo di Giolitti di tenere l’Italia fuori dalla guerra, lo sappiamo, fallì.

E’ stato fatto, dicevo, un positivo lavoro di revisione. Per arrivare alle tombe dei nostri caduti che hanno combattuto per la patria, alcuni dei quali ricordiamo oggi, è stato spalato tanto fango.
Ma attenzione, siamo appena all’inizio.
La storia insegnataci a scuola - parlo dei miei anni, ma credo che parecchio si sia poi fissato come vulgata ufficiale – la nostra storia corrente recitava: nel 1918 Trieste viene accolta dall’abbraccio italiano, il lungo periodo di dominazione straniera è finito, e inizia un avvenire migliore.
Anche in questo caso, è esattamente il contrario. Senza voler fare dell’antisciovinismo, inizia un periodo peggiore. Che si è lumeggiato facendo apparire i crimini del fascismo come marachelle.
Certo, nascondere l’invasione della Slovenia, i paesi bruciati e i resistenti uccisi, le leggi razziali era un po’ difficile, ma si è pensato bene di addossarne le responsabilità ai tedeschi, che hanno traviato gli italiani brava gente. E’ stato rispolverato Collodi per scrivere la favola del fascista Pinocchio e del nazista Lucignolo.
Invece la storia vera è altra, e ha arrecato danni spaventosi a queste terre. Certo, hanno giocato un ruolo pesante lo scontro tra Oriente e Occidente sul confine di Trieste, e anche la rottura del ’48 tra Mosca e Belgrado, che qui si è scaricata con particolare virulenza. E ci sono state, inevitabilmente, corresponsabilità anche triestine.
Con il 2000 siamo usciti dalla palude tossica in cui eravamo sprofondati, e ci stiamo riaprendo al nostro mondo, che è un mondo europeo. Questo processo di riemersione da qualche ambito è avversato, forse perché tutto ciò che è europeo lede l’esclusività italiana di Trieste.
Noi possiamo - dobbiamo – proseguire in un discorso di revisione pacata, che permetta di capire come gli errori e gli orrori del secolo scorso abbiano nuociuto a tutti. Italiani e slavi, e austriaci, colori politici neri, rossi, bianchi.
Al netto delle responsabilità, che ovviamente non sono ininfluenti, la nostra partita doppia è in perdita rovinosa.
Occorre allora che rivisitiamo la nostra storia patria, così segnata dagli interessi delle potenze e delle ideologie, cercando di purificare la memoria. Di smaltire quell’odio che è stato seminato e coltivato. Perché si è cercato di acutizzare i dolori, si è gettato sale nelle ferite, per infettarle, a fini politici e nazionali.
Dobbiamo uscirne, ricordando il passato per evitare di ripeterne gli errori, ma cercando di ripartire da ciò che siamo stati, in una nuova prospettiva europea.
Con nostalgia del futuro, e fiducia nelle parole di Slataper, fratelli, noi vogliamo amare e lavorare.

lunedì 6 febbraio 2017

7.2.2017: Maria Teresa: l'alba dell'Emporio



Il progetto, elaborato dalla Società triestina di cultura “Maria Theresia” a cura del dr. Luciano Santin, prevede un miniciclo di tre lezioni dedicate a Maria Teresa d’Austria, imperatrice nata nel 1717, della quale quest'anno si celebrerà il tricentenario.  Si tratta di un momento di informazione generale, propedeutica agli approfondimenti contenuti in altri eventi che (sperabilmente) le istituzioni organizzeranno nel corso del 2017.


L’ultimo appuntamento, martedì 7 febbraio 2017 preso l'Università della terza età, v. Corti 1/1, prevede la proiezione del documentario “Trieste, nasce una città”, che illustra la situazione del territorio a inizio ’700 e il successivo espandersi urbanistico-demografico.

venerdì 3 febbraio 2017

Statuto

STATUTO

Denominazione - Sede – Scopo

Art. 1
E’ costituita una libera Associazione culturale, che assume la denominazione di “Società Triestina di Cultura - Maria Theresia”.

Art. 2
L’Associazione ha come emblema l’alabarda su scudo.

Art. 3
L’Associazione ha sede in Trieste.

Art. 4
L’Associazione si propone come attività lo studio, la ricerca, la valorizzazione storica, culturale ed economica di Trieste e dei territori ad essa collegati, nel pieno rispetto di tutte le loro componenti etniche e linguistiche.

Art. 5
L’Associazione è apartitica.


Patrimonio ed Esercizi Sociali

Art. 6
Il patrimonio è costituito:
a) dai beni che diverranno di proprietà dell’Associazione;
b) da eventuali fondi di riserva costituiti con le eccedenze di bilancio;
c) da eventuali erogazioni, donazioni e lasciti.
Le entrate dell’Associazione sono costituite:
a) dalle quote sociali;
b) dall’utile derivante da manifestazioni o da partecipazioni ad esse;
c) da ogni altra entrata che concorra ad incrementare l’attivo sociale.

Art. 7
L’esercizio finanziario chiude al 31 (trentuno) dicembre di ogni anno.
Entro trenta giorni dalla fine di ogni esercizio il Comitato Direttivo predisporrà il bilancio consuntivo e quello preventivo del successivo esercizio.


Soci

Art. 8
Sono soci le persone maggiori di 14 (quattordici) anni o gli enti la cui domanda di ammissione verrà accettata dal Consiglio Direttivo e che verseranno all’atto dell’ammissione la quota di associazione che verrà annualmente stabilita dal Consiglio stesso.

Art. 9
La qualità di socio si perde per morte, dimissioni, morosità o indegnità.
La morosità verrà dichiarata dal Consiglio Direttivo, la indegnità verrà stabilita dall’Assemblea.
Amministrazione

Art. 10
L’Associazione è amministrata da un Consiglio Direttivo, composto da un numero di membri variabile da tre a cinque, eletti dall’Assemblea e che restano in carica per un anno.

Art. 11
Il Consiglio Direttivo elegge nel suo seno un Presidente e può nominare anche un Vice Presidente ed un Segretario.

Art. 12
Il Presidente, od in sua assenza, se nominato, il Vice Presidente, rappresenta legalmente l’Associazione di fronte ai terzi ed in giudizio.

Assemblee

Art. 13
L’Assemblea viene convocata dal Consiglio Direttivo, almeno una volta l’anno entro tre mesi dalla chiusura dell’esercizio, mediante comunicazione scritta, inviata a ciascun socio, almeno quindici giorni prima di quello fissato dall’adunanza.
L’Assemblea viene inoltre convocata tutte le volte che il Consiglio Direttivo lo ritenga opportuno, oppure qualora ne faccia richiesta almeno un decimo dei soci.

Art. 14
Le assemblee, sia ordinaria che straordinaria, sono validamente costituite e deliberano con le maggioranze previste dall’articolo 21 del Codice Civile.

Art. 15
Hanno diritto ad intervenire all’Assemblea tutti i soci in regola nel pagamento della quota annua di associazione.
I soci possono farsi rappresentare da altri soci, anche se membri del Consiglio Direttivo, salvo che per l’approvazione di bilanci e per deliberazioni in merito alla responsabilità dei Consiglieri.

Collegio dei Revisori

Art. 16
La gestione dell’Associazione è controllata da un Collegio di Revisori, costituito da tre membri eletti annualmente dall’Assemblea dei soci.
I revisori dovranno accertare la regolare tenuta della contabilità sociale e potranno a tal fine procedere ad ispezioni ed a controlli.

Scioglimento

Art. 17
Lo scioglimento dell’associazione è deliberato dall’assemblea che provvederà alla nomina di uno o più liquidatori e delibererà in ordine alla devoluzione del patrimonio.



Registrato in Trieste presso lo Studio del notaio dott. Giulio Flora Marzo 1981

mercoledì 1 febbraio 2017

Maria Teresa Landesmutter. Registrazioni audio 2017

Registrazioni audio delle lezioni del dr. Luciano Santin su Maria Teresa; gennaio e febbraio 2017; Università della terza età.
Si ringrazia Max Maraldo per la preziosa collaborazione.

Maria Teresa Landesmutter 17 gennaio 2017

Tu, Trieste ne fosti la prescelta 31 gennaio 2017