Il segno c'è, il nome no, diversamente da altri centri europei, ma anche italiani. Milano, tanto per citarne uno. A Cervignano, come qualcuno penso sappia, domani, verrà dedicato al nome di Maria Teresa il monumento ai caduti austrofriulani.
Il canale, questa grande infrastruttura settecentesca, si sarebbe voluto - e dovuto - intitolare “Canal Grande Maria Theresia”. Nel 2017, 300° anniversario della nascita della Kaiserin, avevano fatto un appello in tal senso 27 circoli culturali triestini, inclusivi delle varie nazionalità che compongono la città: sloveni, in primis, naturalmente, croati, ebrei, ma anche armeni, serbi, greci, e associazioni che guardano all'Austria e all'Ungheria, lo storico retroterra della città.
L'83% dei partecipanti a un sondaggio on line lanciato dal Piccolo e cui avevano partecipato oltre 4000 persone, si era dichiarato favorevole. Il costo dell'operazione, più che tenue, se l'era accollato il Circolo della Stampa, che aveva anzi apposto una targa.
Il Comune aveva proceduto togliendo la targa («Ringraziateci che non procediamo per abuso edilizio») e rigettando la richiesta di intitolazione “per ragioni politiche”, come dichiarato dal sindaco.
Il quale poi, un po' contraddittoriamente, aveva promesso altri interventi, tra cui la statua in piazza Ponterosso, voluta anche dalla Regione. La aspettiamo, da cinque anni.
Per Gabriele D'Annunzio ci sono volute cinque settimane, o anche meno. Grazie a un'azione veramente solerte, tempestiva ed efficace del Comune, il vate è comparso in piazza della Borsa e vi si è assiso, come a prenderne possesso. Non si è ritenuto opportuno, nella circostanza, chiedere il parere della popolazione, anzi, di fatto neanche di informarla.
Del resto abbiamo in questi giorni sotto gli occhi il sovrano disprezzo di palazzo Cheba verso le opinioni dei cittadini. Non è il caso di fare referendum o di attuare altre forme consultive, che pure ci sarebbero, perché non va bene che i triestini rompano l'ovovia nel paniere all'amministrazione.
Lo sappiamo, quando c'è la volontà politica, c'è sempre una via, quando manca, c'è sempre una scusa.
No se pol. E stavolta con un bizzarro ribaltamento che obbliga a fare: non si può dire di no al progetto che impatta violentemente sul tessuto del porto vecchio e poi apre una ferita nel bosco Bovedo al fine di realizzare un'opera che al di là di ogni e qualsiasi altra considerazione non sta economicamente in piedi.
Forse sarà il nostro piccolo ponte sullo Stretto di Messina.
Staremo a vedere, e ad aspettare, come continuiamo ad aspettare il tram de Opcina, per dirne una.
Se vi sono parso polemico, probabilmente è perché lo sono. Ma credo che certe cose vadano ricordate.
Per tenere insieme presente e passato in questa occasione vorrei raccontarvi una storia d'altri tempi, una storia dei tempi di Maria Theresia, e della grande Trieste, allora come oggi e come sempre, in delicato equilibrio tra i mondi.
Perché Trieste è felice in tempo di pace, ma è a rischio nei tempi di guerra che la trovano, in qualche modo, sempre sul fronte. Ce lo ricorda la prima metà dello scorso secolo, con le sue due guerre.
La storia come vedremo si lega anche a questo Canale.
Nel 1765 a Podi, nell'attuale Montenegro nasce Cristoforo Gopčević. E' un piccolo armatore locale, che sceglie di cercare fortuna a Trieste. E la trova.
Il figlio Spiridione, nasce qui, e viene mandato a studiare a Vienna. Si rivela un geniaccio intraprendente, che, raccontano, parla tredici lingue.
Fa crescere la società di armamento paterna, e a metà '800 commissiona a Giovanni Berlam lo splendido palazzo verso lo sbocco del canale, oggi sede del museo Schmidl e di uffici della cultura.
La flotta di Spiridione Gopčević conta 33 velieri e 2 navi a vapore, il 10% del tonnellaggio mercantile registrato a Trieste, ed è seconda solo a quella del Lloyd Austriaco. Commercia prevalentemente in granaglie, con i porti russi del Mar Nero, dove ha base e magazzini, nel porto di Odessa.
A Trieste, dall'Ucraina, arriva il pane per l'Europa.
Poi scoppia la guerra di Crimea.
Odessa, Crimea... credo che negli scorsi giorni abbiate sentito questi nomi.
Inghilterra e Francia si scontrano con la Russia. C'è anche il Regno di Sardegna – l'Italia non esiste ancora. Cavour manda i suoi bersaglieri a morire sul Mar Nero, per potersi sedere al tavolo dei grandi e tessere l'intesa con la Francia che porterà alla II guerra d'indipendenza e alla proclamazione del regno d'Italia. Nel 1861.
L'anno in cui muore Spiridione Gopčević. Aveva contratto debiti bancari a Vienna, ma il frumento dei suoi magazzini a Odessa, bloccata dalla guerra, era marcito; così il magnate triestino, non sopportando il fallimento, sceglie di suicidarsi.
Odessa, così lontana da Trieste, e pure così vicina.
Viene da pensare, no...?
Magari se avesse commerciato in armi invece che in pane Gopčević non avrebbe avuto motivo di suicidarsi.
La nostra città è un punto di incontro. E se non lo è, diventa, inesorabilmente, punto di scontro. E' più esposta di altri centri, quando la pace viene meno. Però la guerra porta sofferenze dovunque.
Maria Teresa lo sapeva bene. E' stata costretta ad affrontarne, perché tutti o quasi i regnanti dell'epoca ritenevano di avere diritto alla sua corona, semplicemente perché maschi.
Carlo VI, suo padre, rompendo la tradizione salica, vecchia di mille anni, aveva consento la successione anche per via femminile, con una legge rivoluzionaria, la Prammatica sanzione. Che però moltissimi non vollero riconoscere.
Sicché Maria Teresa dovette difendersi, altrimenti le avrebbero portato via terre e trono. Ma aborriva la guerra.
Era, del resto, in linea con una tradizione dinastica, quella degli Asburgo, tutt'altro che guerrafondaia. Sapete che aveva sapientemente creato una rete matrimoniale per stabilizzare l'Europa: “Alii bella gerant, tu, felix Austria, nube”. Gli altri facciano guerre tu, Austria felice, celebra nozze. Poi si sa che il destino può far fallire i migliori propositi: Maria Antonietta sposò Luigi XVI di Francia nel momento meno opportuno, alla vigilia della rivoluzione.
Ci sono delle allegorie che ritraggono Maria Teresa come Friedenkaiserin , imperatrice della pace.“Ogni conflitto comporta sempre il saccheggio dei nostri paesi e delle nostre borse”, diceva. E aveva ammonito il figlio Giuseppe II, con una frase che tornerebbe buona anche oggi. “Non dimenticarlo mai, meglio una pace mediocre che una guerra gloriosa”.
Quella di Maria Teresa, insomma, è una lezione che dovremmo tenere a mente. E meditare.
Ma, si sa, se la storia è maestra di vita, i suoi scolari sono dei somari disattenti.
Luciano Santin, presidente della Società triestina di cultura "Maria Theresia"